Secondo EY, più del 20% dei capoluoghi italiani non sarà in condizione di ripartire immediatamente, ma farà molta fatica, perché non ha le infrastrutture e le tecnologie adatte ad affrontare la complessità della ripartenza. Il dato emerge dal nuovo report di EY che, incrociando gli indicatori di resilienza dello Smart City Index di EY (fattori sanitari, economici e sociali) con i dati del contagio covid-19, analizza quanto i capoluoghi italiani sono pronti a ripartire e ad affrontare la fase 2 post emergenza.
Le condizioni per ripartire
La pandemia di COVID19 ha messo a dura prova le nostre città, alle prese con il lock-down e la gestione dell’emergenza sanitaria, economica e sociale. Le condizioni per la ripartenza post-COVID19 sono ancora da definire nel dettaglio, ma i contorni sono noti:
Adeguamento delle strutture sanitarie, sia in termini di posti letto (soprattutto in terapia intensiva, per la cura dei malati gravi) sia di medicina di base, per la sorveglianza epidemiologica;
Riorganizzazione delle infrastrutture di mobilità, verso una maggiore flessibilità del trasporto pubblico ed una moltiplicazione della mobilità alternativa;
Potenziamento delle reti di telecomunicazioni, per supportare non solo lo smart working, la didattica a distanza e l’entertainment on-line, ma anche il tracciamento capillare degli individui attraverso le reti mobili;
Rafforzamento delle tecnologie di controllo delle città, per monitorare gli affollamenti e gli assembramenti, regolare opportunamente l’afflusso ai mezzi pubblici e agli esercizi commerciali, quando verranno riaperti.
La situazione di partenza: il livello del contagio nelle città
Le città non partiranno tutte dalla stessa situazione. Il COVID-19 non ha colpito in egual misura tutti i territori e la penetrazione dei contagi in rapporto alla popolazione è molto diversa da città a città, anche all’interno della stessa regione.
Le città più colpite (numero di contagi totali su 10.000 abitanti[1]) sono Cremona (con 151 contagiati totali su 10.000 abitanti) seguita da Lodi (118 contagiati su 10.000 ab.) e Piacenza (117).
In una situazione critica sono quasi tutte le città della Lombardia (oltre a Lodi e Piacenza, soprattutto Bergamo con 96 contagiati su 10.000 ab. e Brescia con 94, ma Varese, la meno contagiata della Lombardia, è a metà classifica, con solo 24 contagiati su 10.000 ab.), diverse città dell’Emilia-Romagna (oltre a Piacenza, anche Reggio Emilia, Parma e Rimini, tutte con valori superiori ai 50 contagiati per 10.000 ab., ma con Ravenna e Ferrara a metà classifica con 23 e 22 contagiati per 10.000 ab.), Aosta, Trento e diverse città del Piemonte (Verbania, Alessandria, Vercelli nelle 20 città italiane più contagiate e le altre comunque nelle prime 40). Tra le città più contagiate anche Imperia, Massa, Genova, Bolzano, Trieste. Tra le città del Veneto, Verona è la più colpita (poco sotto i 40 contagiati per 10.000 ab.), ma Rovigo ne ha solo 13, confermando un miglior controllo dell’infezione nelle città venete e del Friuli-Venezia Giulia (che è complessivamente la regione meno colpita del Nord).
Nella parte “buona” della classifica, vi sono tutte città del Sud, soprattutto le isole (Sardegna e Sicilia), ma anche Calabria, Basilicata, Puglia.
SEI LEVE INDIVIDUATE DA EY a disposizione delle città per ripartire
Le città che hanno le infrastrutture più resilienti e le tecnologie più avanzate, sono pronte più di altre a ripartire. Lo Smart City Index di EY misura da anni molti indicatori di questi fenomeni (che sono raggruppati sotto la categoria della “resilienza”), ed è quindi in grado di valutare il livello di “readiness” delle città italiane alla ripartenza.
I DIVERSI PERCORSI DELLE CITTÀ PER LA FASE 2
Allo stato attuale del dibattito il tema della differenziazione geografica della fase 2 è in corso di approfondimento. Le condizioni per la riapertura dipendono da fattori sanitari, economici e sociali.
È però indubbio che le città hanno situazioni e prospettive molto diverse, il che rende evidente che trarranno dalla ripartenza vantaggi diversificati: una città con un livello di contagio più elevato potrebbe essere costretta a dover mantenere più rigorosamente il distanziamento sociale rispetto ad un’altra che ha meno contagi e che può consentire ai cittadini una maggiore libertà di movimento, con meno ripercussioni in termini di nuove ondate di contagi. E se questa città ha un sistema di mobilità più capiente e più flessibile, se il suo sistema di logistica urbana è più avanzato, se ha più fibra ottica nelle abitazioni e magari il 5G è già partito, ecco che potrà permettersi ancora più libertà di azione, perché i suoi cittadini potranno ad esempio fare più agevolmente smart working e didattica a distanza, avere più facilmente la spesa a domicilio ed uscire solo quando è strettamente necessario; se invece non hanno banda sufficiente e non riescono a lavorare efficacemente da casa, saranno costretti ad andare più spesso in ufficio ed aumentare così i rischi di assembramenti.
Le città del Nord, generalmente più mature nella gestione dei fenomeni sopra descritti, e quindi dotate di più leve, sono in teoria più avvantaggiate nella ripartenza, tuttavia, come visto in precedenza, partono da una situazione di contagio molto più elevato e saranno quindi costrette ad una ripartenza più cauta.
Incrociando i dati del contagio con gli indicatori di resilienza dello Smart City Index di EY, che misurano le leve a disposizione delle città, ne nasce una mappa della ripartenza post-COVID19, in cui ogni città è fortemente condizionata nel suo percorso dalla situazione di partenza, misurata qui, come esempio, dalla % di contagio della popolazione.
“Non è detto che le città più resilienti riescano a trarre più vantaggi dalla ripartenza, perché molte di esse hanno una situazione più complessa da affrontare”, dice Marco Mena, Senior Advisor di EY, responsabile dello Smart City Index. “Tutte le città devono sfruttare gli investimenti fatti nella smart city negli ultimi anni e capitalizzarli verso la ripartenza, facendo sistema tra i soggetti coinvolti. Chi è in una situazione critica di contagio farà molto più fatica a muoversi in quest’ottica, mentre le città che hanno il contagio sotto controllo hanno maggiori probabilità di sfruttare la ripartenza e tornare più velocemente alla situazione che definiremo “new normal”, che sarà comunque molto diversa da quella precedente. Noi stimiamo che più del 20% dei capoluoghi italiani non sarà in condizione di cogliere immediatamente questa opportunità, ma farà molta fatica, perché non ha le infrastrutture e le tecnologie adatte ad affrontare la complessità della ripartenza”.
Oltre a questi aspetti, ci sono delle scelte più legate alla governance, per indirizzare investimenti e comportamenti. “Le città dovranno quindi definire i piani della ripartenza, che avranno ovviamente una declinazione locale molto spinta” commenta Andrea D’Acunto, Mediterranean Government and Public Sector Leader di EY, “Nel fare questo, oltre a tenere conto della situazione del contagio e dello stato delle infrastrutture urbane, dovranno lavorare imprescindibilmente su altri fattori, come la comunicazione per influenzare i comportamenti dei cittadini, la rifocalizzazione dei fondi nazionali ed europei sugli investimenti su infrastrutture e servizi e lo snellimento delle decisioni per favorire la collaborazione con i soggetti privati in grado di capitalizzare sulle infrastrutture e sviluppare i servizi (es. sanità e mobilità). Diviene quindi indispensabile la velocità nel mettere a punto le concessioni e lanciare i servizi per adattarsi al cambio di abitudini e creare il “new normal” delle città”.
Dall’incrocio tra il livello di resilienza dato dallo Smart City Index di EY con il livello di contagio rispetto alla popolazione (assunto come parametro di misurazione delle situazioni di partenza), ne nascono quattro SCENARI, che individuano altrettanti “cluster” di possibili vantaggi nella ripartenza. Si tratta di quattro cluster che indicano come le città possano approfittare della ripartenza, sulla base per l’appunto di due elementi:
da una parte la situazione relativa al contagio, che condiziona l’allentamento dei vincoli;
dall’altra la “resilienza”, e cioè le infrastrutture e le tecnologie che consentono di supportare la ripartenza e di raggiungere più facilmente o più velocemente il “new normal”.
I quattro cluster, sulla base della diffusione del contagio ad oggi (situazione che può cambiare nelle prossime settimane), sono: