20 Maggio 2017
Primo piano

Intervista al Sindaco di Ascoli Piceno e Presidente di IFEL Guido Castelli – Italy2Invest


Leggi l’intervista in formato PDF

Come riportato all’interno del sito del Repertorio Nazionale dei Dati Territoriali, i dati territoriali costituiscono (e costituiranno) sempre più l’elemento conoscitivo di base per tutte le politiche per la gestione del territorio. La conoscenza del mondo reale, nei suoi aspetti, è determinante sia come strumento di sviluppo sia come supporto alle decisioni in campi come le politiche di sicurezza, la protezione civile, la pianificazione territoriale, i trasporti, l’ambiente. A che punto si trova l’Agenda Pubblica sui dati territoriali? Le amministrazioni locali in quale forma e grado utilizzano effettivamente i dati territoriali per pianificare e valorizzare i territori? Come può il mondo privato concorrere a creare nuovi strumenti utili agli enti locali?

Come spesso accade anche in questo caso va detto che le amministrazioni locali compongono un panorama molto articolato e variegato di realtà e non, invece, un insieme omogeneo di scelte e soluzioni. Con riguardo, nello specifico, ai dati territoriali va detto che non c’è una vera Agenda Pubblica che ne orienti l’uso. I dati territoriali sono oggetto di un lavoro importante soprattutto da parte delle Regioni e delle Province a partire dalla metà degli anni ’90 (con la digitalizzazione della cartografia, anzitutto) e sono diventati patrimonio informativo anche di alcune amministrazioni comunali. Il focus in Agenda a livello nazionale sui dati delle PA, in questa fase, riguarda non tanto la tipologia, quanto la condivisione e l’apertura dei dati stessi.

 

Le modalità di utilizzo di questi dati variano da territorio a territorio e, di sicuro, tende ad essere più diffusa la dimensione sovracomunale soprattutto in un’ottica di pianificazione territoriale; per quanto riguarda mobilità e trasporti, per esempio, oppure per quanto riguarda la pianificazione di alcuni servizi o di interventi di prevenzione e sicurezza del territorio. In questa fase forse la realtà più ‘omogenea’ (almeno sulla carta) sono le Città Metropolitane che hanno tra le loro funzioni fondamentali la pianificazione strategica dei territori. Rimane una criticità di fondo data dalla difficoltà del sistema pubblico di agire politiche integrate (a diversi livelli territoriali) per cui spesso la valorizzazione dei territori è concepita e tradotta attraverso politiche verticali per esempio il turismo e/o la cultura. Questo vale ancora di più per le amministrazioni comunali medio-piccole che non sono abituate a sviluppare strategie di valorizzazione e sviluppo attraverso l’analisi strategica di informazioni georeferenziate e dati territoriali. Non hanno modelli di riferimento su questo. Non sono gli strumenti che difettano bensì l’abitudine all’uso degli stessi. In genere gli strumenti, anche creati dai privati, che hanno un successo maggiore sono quelli che sanno rispondere alle esigenze degli enti (rispetto alle loro necessità amministrative e ai processi di lavoro interni). La co-creazione di strumenti (e piattaforme) che consenta anche la crescita delle competenze è la strada per far crescere la domanda (della PA) e far evolvere anche l’offerta (i privati).

Parliamo ora di attrattività delle città e dei territori italiani. Quale rilevanza ha oggi tale tema per gli enti locali? In cosa si differenziano le grandi aree urbane dalle città intermedie e, infine, dai micro comuni nella capacità di attrarre investimenti? Quale peso ha, e dovrebbe avere, il marketing territoriale volto ad attrarre nuovi investitori? 

Sicuramente questo è un tema-chiave per le Città Metropolitane che sono state create sostanzialmente per svolgere questa funzione di motore dello sviluppo non solo locale ma nazionale. I piani strategici delle CM hanno, tra gli altri obiettivi, quello di far diventare questi territori attrattivi per investitori anche internazionali. Ci sono poi interventi mirati a rafforzare la capacità attrattiva di alcuni territori, fatti di realtà molto piccole che sono le cosiddette aree interne. Come si legge nel sito di Agenzia Coesione: Le Aree Interne rappresentano una parte ampia del Paese – circa tre quinti del territorio e poco meno di un quarto della popolazione – assai diversificata al proprio interno, distante da grandi centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili ma tuttavia dotata di risorse che mancano alle aree centrali, con problemi demografici ma anche fortemente policentrica e con forte potenziale di attrazione. Le città medie stanno cercando di cogliere occasioni varie per rendersi evidenti e distinguibili: le candidature a città europea della Cultura, per esempio, hanno generato molto interesse su tante città italiane e, ovviamente in particolare, su Matera che ha vinto. Poi ci sono le occasioni di valorizzazione di alcuni patrimoni culturali o ambientali praticamente unici (luoghi che diventano Patrimonio UNESCO) oppure, anche occasioni come festival tematici (dal libro, alla fotografia, allo street food, ecc.). Diverse città medie hanno definito progetti/piani strategici di sviluppo (per es. Ascoli nel futuro). Comunque le strategie di sviluppo (specie per le realtà più piccole) richiedono uno sforzo programmatorio su aree vaste e un lavoro interistituzionale. Il Marketing territoriale è un processo utile ma si potrebbe costruire una strategia di attrazione degli investitori “unendo i puntini” fatti da tutte le politiche messe in campo dai territori per il miglioramento della qualità della vita (compresa la prevenzione e la sicurezza).

Un passaggio successivo del Repertorio Nazionale dei Dati Territoriali riporta ancora: il grande patrimonio di informazioni territoriali in Italia è caratterizzato da una significativa frammentazione e da evidenti problematiche di qualità e di coerenza che impattano in modo significativo sui numerosi procedimenti amministrativi che utilizzano tali dati. Quali sono, secondo lei, i punti critici della ricerca e sistematizzazione di dati georeferenziati in Italia? La diffusione sempre maggiore di Open Data a livello comunale a che punto è? Nelle città maggiori la disponibilità di dati open è sempre maggiore ma le differenze di pubblicazione e di raccolta tra Comuni sono spesso diverse. Come è possibile uniformare tali fenomeni? 

I punti critici della ricerca e sistematizzazione di dati georeferenziati in Italia sono i seguenti:

  • Intanto devono esistere dati che abbiano riferimenti territoriali e poi questi riferimenti territoriali devono essere omogenei (sia come ambito territoriale di riferimento, sia, in molti casi, come modalità di scrittura dell’informazione);
  • I Comuni e gli enti locali spesso spendono energie, tempo e risorse sulle tecnologie e gli strumenti e non sulla creazione di strategie per l’uso dei dati (quindi su processi decisionali “intelligenti” che si fondino su informazioni che li sostengono). In questo caso, infatti, molte informazioni potrebbero essere acquisite da fonti varie e non necessariamente create ex novo come, invece, spesso succede;
  • Ovviamente le principali criticità (tra cui quelle indicate sopra) hanno a che fare con la carenza di competenze e anche con la scarsa “cultura del dato” (del suo utilizzo, della sua formazione, delle fonti che già lo producono, ecc.).

 

Gli open data sono in via di diffusione anche se non rapidissima, per le ragioni accennate sopra. Se l’uso dei dati non diventa un’opportunità per chi decide e co-progetta la città con i cittadini e gli altri portatori di interesse, difficilmente i sistemi informativi possono diventare strumenti più standardizzati e uniformi (magari parte di un modello di intervento). Per esempio: i processi di co-progettazione e partecipazione messi in campo dal Comune di Reggio Emilia con cittadini, associazioni, imprese, ecc. partono da un’analisi territoriale (per quartiere) delle diverse politiche locali, sulla base di dati elaborati da un Osservatorio comunale sulle policy. Quelle informazioni sono sia uno strumento di analisi dell’area in questione e anche un punto di partenza per ragionare (e negoziare) sui problemi e sulle soluzioni.

ITALY2INVEST ha alla sua base la creazione ambiziosa di un database che sia costituito da molti dati a livello comunale. Pensa che la raccolta di così tanti dati ad una tale profondità possa essere utile per attirare investimenti sul nostro territorio?

La raccolta e la sistematizzazione di tanti dati comunali può essere interessante per alcuni tipi di investitori. Può diventare anche un modo per animare la sana competizione tra le città che possono essere stimolate, nell’evidenza di un confronto quantitativo, ad agire strategie di sviluppo più mirate.

Quali pensa che possano essere le caratteristiche o gli ambiti più importanti per descrivere l’attrattività di una città o di un territorio?

E’ difficile immaginare cosa possa attrarre un investitore: perché Apple ha scelto Napoli? Ci sono tanti fattori e fra questi spiccano il clima e il mare. Però di fondo si può immaginare che le principali ragioni che attraggono un investitore siano legate alla capacità di quel territorio di accogliere e favorire lo sviluppo del suo business. Per questo è interessante creare delle strategie di sviluppo immaginando anche che tipo di soggetti possono essere interessati a investire ma è anche necessario adottare una strategia “antifragile” che, cioè, metta al centro ciò che nel territorio esiste e non necessariamente ciò potrebbe essere desiderabile ma troppo distante dall’attitudine e delle condizioni di quel territorio.

 

In che modo i Comuni possono concorrere ad un’iniziativa come ITALY2INVEST per migliorare l’attrattività del proprio territorio?

 

Condividendo informazioni e utilizzando quella piattaforma per un confronto, come fanno già con altre graduatorie che misurano il benessere, l’innovatività, l’intelligenza, delle città e dei territori.

ITALY2INVEST nasce come iniziativa di Nomisma


in partnership con

con il supporto di


Data Provider


Data Analytics