20 Maggio 2016
In Italia

Un protocollo per salvare le Leopoldine della Val di Chiana


Un progetto di paesaggio per la riqualificazione e valorizzazione della Valdichiana, per contrastare i fenomeni di abbandono di un importante patrimonio storico edilizio costituito dalle splendide case coloniche edificate ai tempi del Granduca Pietro Leopoldo nella zona della Valdichiana, la Regione e i Comuni di Arezzo, Castiglion Fiorentino, Civitella Val di Chiana, Cortona, Foiano, Marciano della Chiana, Monte San Savino, Montepulciano, Sinalunga e Torrita di Siena hanno sottoscritto un protocollo d’intesa approvato della Giunta regionale.

Con il termine ‘Leopoldina’ viene intesa una tipologia di casa colonica con precise caratteristiche architettoniche edificata nel corso della bonifica e sfruttamento agricolo della Val di Chiana, nel periodo che va dalla prima metà del ‘700 fino alla metà dell’800.

Il grande impulso avvenne sotto il governo di Pietro Leopoldo, quando l’azione di bonifica assunse il valore di un vero e proprio intervento integrale. Gli obiettivi andarono infatti ben oltre l’acquisizione di nuovi terreni coltivabili per raggiungere risultati che comprendevano la qualificazione dell’insediamento umano promuovendo l’avanzamento sociale e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro per i residenti.

L’edilizia rurale doveva rispondere alle esigenze che l’utilizzo intensivo della terra bonificata determinava in termini di confort abitativo e lavorativo dei contadini: non certo per lusso ma per motivi igienici e funzionali che si traducevano in maggiore capacità produttiva.

Il Granduca Pietro Leopoldo nell’ottobre 1769, durante la sua visita in Valdichiana alle fattorie di Montecchio, Bettolle, Foiano e Fonte al Ronco, osservava che “la maggior parte delle case dei contadini delle fattorie suddette sono cattive, ristrette e male proporzionate al gran numero delle persone che sono in famiglia.”
Decise quindi di promuovere una vera e propria trasformazione edilizia relativa alle case coloniche, e già dopo nove anni, nel maggio del 1778, quando fece ritorno in Valdichiana, poté compiacersi che nella fattoria di Bettolle “le case sono ragionevoli, le nuove molto buone.”

I poderi formatisi sui nuovi terreni coltivabili lungo il Canale Maestro della Chiana, diventarono così esempi di aggiornamento dell’edilizia colonica con edifici in grado di conciliare spazio residenziale, ambienti di lavoro ed ambienti per l’immagazzinamento dei raccolti.

Leggere oggi gli appunti dell’epoca sui criteri da seguire per un buon edificio colonico è un tuffo nel buonsenso e nella razionalità contenuti in quelle indicazioni così chiare e sintetiche.

Così le rampe di scale esterne che oggi hanno acquisito rilevanza architettonica, assumevano significato per il loro posizionamento ed il loro uso in quanto era bene che fossero “coperte per la parte di tramontana, perché il verno nel dover andar di notte a rivedere gli bestiami non siamo esposti i guardiani ai rigori del North, con l’uscire dal caldo o dal letto, ed incontrare tosto il nudo freddo con l’arrabbiato soffio dei venti settentrionali.”
Per cui era necessario che la scala, continuamente scesa e salita “dalla famiglia del podere per causa de’ bestiami, fosse coperta con tettoia, per salvarla dalle nevi e dall’acque che ivi gelandosi potrebbero apportare la caduta di qualcheduno”.
Allo stesso modo il portico a piano terra, grazie al clima temperato ed in rispetto della tradizione mediterranea, diventava l’espansione esterna della casa, ossia il luogo protetto per riporre gli attrezzi, per svolgere “le faccende nel tempo di pioggia”, per preparare le bestie prima di condurle nei campi.
Tutto venne codificato da parte del Granduca e tutto considerato nella logica di un miglioramento della funzionalità e quindi, diremmo oggi, di una maggiore produttività.

Interessanti sono ad esempio le istruzioni per la progettazione delle camere da letto:
“La principal cura è quella di non dare a’contadini, una camera per cischeduno, ma sempre procurare, che siano due letti per camera a motivo dell’emulazione nel levarsi di notte a rivedere i bestiami, e per essere solleciti la mattina…”
“La camera poi del capo di famiglia deve essere quella, ove possa vedere, o sentire, se i sottoposti sono solleciti alle faccende per poterli correggere in caso di mancanza. Circa la posizione delle medesime, è sempre migliore quella che non è dominata dal settentrione. Le finestre è vantaggioso che siano piuttosto piccole che grandi, a motivo de’ venti a cui sono sottoposte le case de’ contadini, ed in esse camere bisogna ricordarsi di murarvi de’ cavicchi per attaccarvi le umili loro vesti.”

Insomma, case modellate dalla tradizione culturale di una importante zona della Toscana, che rappresentano un vero e proprio patrimonio storico di edilizia rurale da recuperare, riqualificare e valorizzare.

La Regione e Comuni della Val di Chiana si impegneranno quindi a valutare tutte le ‘Leopoldine’ come parte di un ‘sistema’ da tutelare e valorizzare anche tramite la realizzazione di percorsi turistici e ciclopedonali.

Verrà poi definito un ‘Progetto di paesaggio’ per coniugare aspetti paesaggistici, storico-culturali, turistici, rurali ed ambientali della Val di Chiana.
Si impegnano inoltre ad ampliare gli usi ammissibili. Accanto alla funzione agricola (multifunzionalità, agriturismo, residenze agricole per i giovani imprenditori,ecc), infatti, sarano ammesse quella residenziale, le attività e i servizi legati alla promozione del territorio, le attività legate al settore terziario (come servizi ed uffici), oltre a funzioni turistico-ricettive ed edilizia sociale.

Un piano che vuole costituire l’inizio di un lavoro di valorizzazione e recupero di un’intera zona caratterizzata da un affascinante paesaggio rurale che deriva dalla bonifica e che quindi comprende una serie di altri manufatti di valore storico-architettonico: ponti, canali, approdi, argini rialzati, bacini artificiali, mulini, pescaie, gore, caselli, chiuse.
Così come manufatti di particolare connotazione quali i resti del settecentesco Argine di separazione fra i bacini di Tevere e Arno nei pressi di Chiusi Scalo, il Callone di Valiano, la botte allo Strozzo, la Fattoria con la Colmata di Brolio, L’Allacciante dei Rii castiglionesi, la Chiusa dei Monaci, i numerosi ponti di ferro ottocenteschi tipo zorès così come i caselli idraulici, e i manufatti di immissione.

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